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Ingegneria e pallone: Maurizio Sarri e il principio di ottimizzazione

Ottimizzare. Ottimizzare. OTTIMIZZARE. Un verbo; da seguire più che da leggere, quasi fosse un dogma religioso. Per gli studenti di Ingegneria Gestionale, in parte, è così.

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Ottimizzare. Non è la prima volta che mi ritrovo ad effettuare un parallelo tra ingegneria e pallone. Un’altra delle eterne contraddizioni della mia vita. Dovere e piacere, studio e diletto, come quei dieci metri che separano Via Claudio e lo Stadio San Paolo. Come la realtà e il suo sottosopra (scusate ho appena finito di vedere la seconda stagione di Stranger Things e non ho potuto fare a meno di inserire un riferimento; chi l’ha vista capirà, per gli altri mi scuso). Che poi, per uno studente, la sua materia di studio dovrebbe essere anche la sua passione, così come in certi casi la passione può essere trattata come materia di studio. Per quanto mi riguarda mi sento più vicino alla seconda situazione che alla prima. Ma sto divagando, veniamo al punto.

Come detto ci sono solo pochi metri che separano l’ingresso delle tribune dello stadio San Paolo e la sede di Ingegneria di Via Claudio. Sarri probabilmente avrà varcato solo la soglia dell’impianto sportivo di Fuorigrotta piuttosto che una delle sedi della Federico II; fatto sta che la stagione attuale del Napoli sembra dire il contrario. Nelle due precedenti gestioni Sarriane o Sarriste che dir si voglia, gli azzurri hanno dato vita ad una macchina da goal, uno spettacolo senza precedenti in Italia (mi dicono dalla regia che il Milan di Sacchi probabilmente giocava altrettanto bene, ergo che –da buon ingegnere quale tento disperatamente di diventare- devo porre un vincolo: facciamo negli ultimi vent’anni, quelli di cui posso esser testimone). Trame di gioco che richiamano i principi del Barcellona di Guardiola. Una costruzione della manovra di stampo europeo, spagnoleggiante, catalano, in completa antitesi con i fondamenti storico-calcistici della tradizione italiana. Eppure…eppure mancava qualcosa, a detta di tanti. L’opinione pubblica calcistica tacciava la compagine azzurra di essere troppo fragile in difesa, di subire troppe reti. “In Italia si vince subendo meno reti, non segnandone di più. Si vince con la miglior difesa, non con il miglior attacco”. Parole che smontavano la struttura partenopea, che contraddicevano l’idea del tecnico toscano.

Non abbiamo la certezza che Sarri abbia ascoltato o meno i principi di staticità della retroguardia che le vox populi dello Stivale imponevano- filosofie in piena contrapposizione col dinamismo innovativo Sarriano- o se abbia varcato la soglia di una qualsiasi aula della facoltà di Ingegneria Gestionale di Via Claudio (di quest’ultimo scenario dubito fortemente, anzi sicuramente sappiamo tutti che non è mai accaduto, ma almeno concedetemi un’iperbolica licenza onirico-poetica), fatto sta che qualcosa è cambiato. Sì. Decisamente.

I numeri non dicono tutto, come spesso ripeto ad amici amanti delle statistiche -ingegneri e non-, ma aiutano a capire la verità. Oggi, dopo ben ventuno giornate di Serie A, il Napoli non ha il miglior attacco (45 reti), bensì il terzo, distaccato da Juve (50) e Lazio (53, che però ha una partita in meno e oggi, nel recupero contro l’Udinese può migliorare il proprio score ndr). Se si guarda però alla voce “reti subite” ecco che troviamo il dato inaspettato: con solo tredici reti incassate il Napoli ha la miglior difesa della massima serie.

Gli azzurri si sono evoluti. Il loro modo di fare calcio è leggermente cambiato. Sarri e compagnia –come ha dimostrato una volta di più la vittoria di Bergamo- hanno modificato qualcosa. In diverse partite, la squadra partenopea ha ceduto un po’ delle sua fantasia calcistica, ha ridotto la quantità di spettacolo prodotta, ha abbassato lievemente i ritmi del suo gioco lasciando spazio al pragmatismo, alla concretezza, all’attenzione. Semplificando potremmo assumere il postulato “meno spettacolo, più sostanza”. Meno ghirigori, più linee rette. Meno energie spese in campo, maggiore rendimento. Meno affanno, più resa. Il principio di ottimizzazione Sarrista.

Sarri non avrà letto alcun libro di Ingegneria Gestionale, né tantomeno gli appunti di IMCO che mi hanno appena consegnato, eppure ha applicato lo stesso concetto di ottimizzazione riportato da più parti. Ad oggi il Napoli è primo in classifica con la miglior difesa. Con l’Atalanta è arrivata la quarta vittoria per una rete a zero in campionato ed il conto dei clean sheet sale a quota 11 (Ahh-sospiro- undici, scusate ancora residui di Stranger Things) in ventuno partite. Numeri ben precisi che forniscono l’esatta dimensione dell’inversione di tendenza. Indipendentemente da come finirà a maggio, gli azzurri stanno dando una grande prova di forza e Sarri -dopo l’uscita dalla Champions e dalla Coppa Italia- dovrà gestire al meglio le forze in vista dell’Europa League. E, per farlo, il principio di ottimizzazione che sta applicando potrebbe esserne la chiave.

Ottimizzare. Sempre e comunque. Diamine ho parlato di ottimizzazione e di vincoli applicati al Napoli, concetti presenti anche sui miei appunti di IMCO. Forse dovrei cominciare a studiarli per bene, altrimenti non do l’esame nemmeno entro la fine del campionato!

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