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Coby White, il Dodo dei Chicago Bulls che sogna di prendersi l’NBA

Coby White, uno dei Dodo dell’NBA. 

21 Giugno 2019, ore 16 o giù di lì.

Sono stravaccato sul divano di casa mia, in tavernetta, la mia attività preferita nel free time. Grazie a Sky, per la prima volta nella mia vita, sto guardando il Draft NBA 2019. È la replica della notte scorsa. Non ho letto articoli per non avere spoiler sulle scelte. A parte la numero 1; beh, quella si sa già da tempo. Alla numero sette (il mio numero preferito, un caso?) viene scelto dai Chicago Bulls tale Coby White, un ragazzo con la capigliatura Afro ed un viso da attore comico statunitense; sembra uscito da un film della saga Scary Movie. Mi incuriosisce. Non so perché provo subito una certa empatia nei suoi confronti. Poco dopo, le telecamere mostrano la sua incredulità quando, durante l’intervista post scelta, gli viene comunicato che alla numero undici è stato un scelto un suo ex compagno di squadra al college, Cameron Johnson. “Wooow! non fa altro che ripetere il giovane Coby; è visibilmente felice per l’amico. Una felicità spontanea, naturale, genuina. Mi rapisce ancora di più.

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6 Novembre 2019, ore 16 o giù di lì.

Sono stravaccato sul divano di casa mia, in tavernetta, la mia attività preferita nel free time. Sto guardando la replica di Chicago Bulls VS Los Angeles Lakers giocata nella notte. La mia attenzione è sicuramente sul Re, LeBron James: è il secondo anno che LBJ ha lasciato i suoi (ed anche un po’ miei) Cavs per accasarsi ai gialloviola. Mentre scorro il mio personalissimo film da ex tradito, cerco di concentrarmi sull’altro motivo di interesse personale: vedere giocare il ragazzo col viso simpatico e la capigliatura folle. Indossa il numero 0 e non parte in quintetto. L’avevo seguito in preseason ed aveva fatto un gran bene. In stagione regolare non avevo ancora avuto la possibilità di osservarlo, ma avevo sentito di un rendimento negativo che stava deludendo le attese. Ma le mie, di attese, in questo pomeriggio pigro (come cantavano i Co’Sang) saranno tutt’altro che deluse. Il ragazzo esce dalla panchina e guida la second unit. Serpentine, arresti e tiri, penetrazioni ed alla fine fanno 18 punti, 5 rimbalzi, 4 assist in 23 minuti. Not bad. Ciò che mi cattura maggiormente però non sono le giocate, bensì le parole di Davide Pessina in telecronaca quando, dopo un canestro, Coby mostra un tatuaggio con la scritta “FMF”, acronimo di “For My Father”. Devo saperne di più…

9 Novembre 2019, ore 16 o giù di lì.

Sono stravaccato sul divano di casa mia, in tavernetta, la mia attività preferita nel free time, ma decido di alzarmi perché guardando i risultati NBA della notte e mi torna in mente il ragazzo dalla capigliatura afro. Volevo indagare, ma non l’ho ancora fatto. Sul web trovo subito ciò che stavo cercando, alla mia prima ricerca. Mi imbatto in una lettera su The Players’ Tribune, il portale riservato ai flussi di coscienza degli atleti, scritta dallo stesso Coby White prima del Draft 2019. FMF, For My Father. Pessina in telecronaca aveva detto solo che suo padre era venuto a mancare un paio d’anni fa è il che il fratello maggiore (appena 27enne) gli faceva da figura paterna in quel di Chicago per tenere lontano il giovane Coby (classe 2000) dalle tentazioni della Windy City.

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9 Novembre 2019, ore 16.30 o giù di lì.

Non sono stravaccato sul divano, anzi, sono seduto sulla sedia, con lo sguardo fisso sul monitor del PC, senza staccarlo. Sto leggendo la lettera di Coby.

A volte penso che sia il fato. A volte credo che davvero ognuno di noi sia legato da un filo invisibile o che comunque ci sia una specie di empatia fluttante, un’entità astratta che vive accanto ad ogni individuo che ci permette di percepire le persone simili a noi; una specie di riconosci-anima che lega chi ha qualche tratto comune, chi ha vissuto esperienze affini. Nella lettera a TPT (che vi consiglio di leggere, scritta in lingua originale ma ne vale la pena) ci vedo un pezzo della mia vita, una serie di analogie che mi fanno pensare che il destino esista e che, quel dannato filo, ci sia per davvero. Coby racconta del legame con suo padre, del giorno in cui la madre gli ha raccontato che il male di suo padre non si poteva dribblare in uno contro uno come un avversario, della rabbia che aveva quando l’ha saputo, del crollo della sua fede, della passione che il padre aveva per Rocky e, di riflesso, anche lui, del momento in cui gli hanno detto che il padre aveva lasciato questa Terra e di tante, tante altre impercettibili sfumature (come cantavano i 99 Posse) che si possono cogliere.

9 Novembre 2019, ore 16.30 o giù di lì.

Ho appena finito di scrivere questo articolo. Le parole sono uscite dalle mie mani autonomamente. Forse nel destino era scritto che quel pomeriggio di giugno rimanessi attratto dal ragazzo con la capigliatura Afro e la faccia simpatica. Non ho più dubbi: Coby è decisamente un Dodo. 

“Pur non sapendo volare, un giorno il Dodo si tuffò nel vuoto e, credendo in sé stesso, superando i propri limiti, spiccò il volo”

P.s. Ho appena scoperto che Coby White indossa il numero zero perché adora Sub-Zero, personaggio del videogame Mortal Kombat: come si fa a non amarlo?

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