AnedDodo

Ronaldinho e Lampard: Fuje Tanno.

Lunedì sera. Guardo Tiki Taka a letto. Cercare di prender sonno con la TV accesa rientra ormai nel novero delle malsane abitudini che difficilmente riuscirò ad abbandonare. Mentre sto per scivolare nel sonno -anche se probabilmente un quarto d’ora/venti minuti me li sono già fatti nel dormiveglia- mi accingo ad abbassare il volume per favorire l’appuntamento con Morfeo (non Mimmo, s’intende). Impresa ardua con un occhio incollato e l’altro semichiuso. Mentre cerco -invano- il telecomando, perso nelle fantasie arlecchinesche delle mie coperte, inevitabilmente sono costretto ad aprire -il meno possibile- le palpebre, tentando di far entrare la luce negli occhi il giusto, quanto basta per trovare il maledetto oggetto dei desideri dei pantofolai.

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“Trovato!” penso tra me e me senza rendermi conto di quanto possa essere molto più semplice spegnere prima il televisore e lasciarsi abbracciare dall’omonimo dell’ex trequartista del Parma fin da subito, piuttosto che ballare la tarantella dell’etere rischiando di perdere il treno della Ninna Nanna. Abbasso il volume e mi giro sul fianco destro praticamente in contemporanea; nel mentre però, una fessura tra le mie ciglia viene rapita da ciò che appare sullo schermo: vedo delle immagini di Ronaldinho che scorrono. Con le orecchie -che non si possono chiudere come gli occhi- ascolto qualcosa (non riesco a cogliere tutto dato che sono a metà tra la fase REM e quella degli Oasis) che parla del ritiro -o presunto tale, dato che per il sottoscritto avevano lasciato il Calcio che conta già da tempo- dal calcio giocato di Ronaldinho e Lampard, rispettivamente coloro che occupano il primo e il secondo posto tra i miei idoli calcistici (al primo posto c’è un ex aequo, ma non è il momento di discuterne). Nonostante la stanchezza e il sonno che mi pervadono, entrambi all’apice dopo la giornata pesante appena conclusasi, non riesco a non buttare un occhio rischiando di perdere l’agognato treno.

Apro e chiudo gli occhi come le porte di un centro commerciale quando i bambini giocano con la fotocellula; rintronato dal sonno ma attratto dai fotogrammi delle giocate di Dinho e dalle parole sul ritiro del brasiliano e di Frankie. Non so perchè, ma da quel miscuglio di sensazioni, la mia mente, pescando nel jukebox dell’inconscio, fa partire una canzone che adoro: “Fuje Tanno” dei Co’Sang.

“È meglje niente ‘nziem’ ch’esser’ ricche sule…l’uocchje mieze chiuse..Fuje tanno”. È meglio niente insieme, che essere ricchi da soli, gli occhi mezzi chiusi -come me praticamente- come all’epoca (una traduzione forzata di “Fuje Tanno”, letteralmente forse sarebbe più corretto “fu allora”).

Gli anni in cui ammiravo le giocate di Dinho e Frankie erano anni in cui il calcio per me e per il Mondo che mi circondava era tutto. Permeava ogni angolo del mio microcosmo. Non mi(ci) interessava nient’altro. Non avevamo ambizioni di alcun genere. Non volevamo finire gli studi, non volevamo trovare un lavoro, non avevamo assilli di indipendenza. Non avevamo bisogno di soldi in tasca o l’esigenza di avere “qualcosa da fare”.
Ci bastava un pallone. Tutto qui.

Ci sono momenti in cui, proprio a letto, con gli occhi mezzi chiusi, penso che era meglio quando non avevamo niente insieme, piuttosto che essere ricchi di “cose da fare e da inseguire” da soli, nella frenesia moderna di tutti i giorni. Come all’epoca. Fuje Tanno.

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